La manifestazione del 20 giugno

Sabato 20 giugno, salute permettendo (quest'anno due terzi dei miei piani sono già saltati…), interrompendo un “fine settimana allungato” in campagna, parteciperò alla mia prima manifestazione di piazza. La manifestazione si oppone alla deriva ideologica che vorrebbe snaturare la famiglia naturale, mediante:

  • la riduzione dell'istituzione del matrimonio (Legge Cirinnà) da colonna portante della società a mera “gratificazione personale” (parole di Papa Francesco);
  • il programma di indottrinamento ideologico per bambini nelle scuole (Legge Fedele) basato sulla teoria del gender, confrontabile con quelli delle nefaste ideologie novecentesche, come comunismo o nazismo (ancora per usare parole del Pontefice);
  • il tentativo di imporre un'inaccettabile bavaglio alle opinioni (Legge Scalfarotto) per cui diventerebbe impossibile anche solo esprimere la propria contrarietà a queste iniziative.

Non posso dire che ci vado con piacere: sono pigro, non mi piace il rumore e non mi piacciono i luoghi affollati, con una soglia di tolleranza veramente molto bassa. Tuttavia questo passa in secondo piano di fronte alla necessità di dare testimonianza al Vangelo, principio fondamentale per ogni cattolico, e combattere per la libertà di espressione, mia e degli altri. Credo che abbiano molto senso le parole di Aldus Huxley, da “Il mondo nuovo”:

Man mano che la libertà politica ed economica diminuisce, la libertà sessuale ha tendenza ad accrescersi a titolo di compensazione. E il dittatore sarà ben accorto a incoraggiare questa libertà. Aggiungendosi al diritto di sognare sotto l’influenza della droga, del cinema, della radio, essa contribuirà a riconciliare costoro con la schiavitù che è il loro destino.

Potrebbe farci un pensierino chi è risentito per certe tendenze iper-liberiste che in buona parte del mondo stanno modificando la contrattazione del lavoro (chi scrive è da sempre sostenitore del libero mercato, ma rifugge dagli eccessi come regola di buon senso). Gli attacchi alla libertà personale partono spesso da cose che magari non ci riguardano né ci interessano, ma poi inesorabilmente si presentano davanti alla nostra porta di casa.

Ora, la manifestazione è stata programmata dopo mille incertezze e con un alone di confusione innegabile, ben riassunto in un pezzo di Giuseppe Rusconi, a causa dell'innata litigiosità delle organizzazioni cattoliche e alla malcelata ambiguità di alti prelati come monsignor Galantino, segretario della CEI. Per questi motivi, il riferimento alla legge Cirinnà è sparito da un certo numero di appelli a partecipare (ma non da tutti). Successivamente si è tentato di rimediare al danno, ma in modo un po' goffo, come ha raccontato Marco Tosatti. Qualcuno, come i vertici di Comunione e Liberazione, ha semplicemente rimediato una figuraccia, motivando prima il mancato supporto con un comunicato gonfio di citazioni di monsignor Galantino, per poi ritrovarsi pochi giorni con quello che assomiglia molto ad un contrordine compagni. E meno male che dobbiamo combattere il clericalismo e l'esuberanza dei vescovi-pilota. Fortunatamente molti membri e sotto-gruppi di CL hanno tenuto da subito una linea diversa.

Preso atto di questa confusione, essere in piazza non vuol dire sottoscrivere in modo irreversibile una posizione di compromesso: vuol dire esprimere un'opposizione ad un governo che pensa di poter imporre la sua agenda senza incontrare resistenze. Non essere in piazza vorrebbe semplicemente dire che ogni opposizione al “governo più sfasciafamiglia dell’Italia repubblicana” (parole di Rusconi) è ininfluente. In ogni caso, molte sigle tra gli organizzatori - vedasi di nuovo il citato pezzo di Rusconi - hanno chiarito molti dubbi ed espresso in modo chiaro che la loro partecipazione è in opposizione non solo alla campagna di rieducazione nelle scuole, ma anche all'attacco sul matrimonio e alla libertà di espressione.

Va anche detto che la manifestazione non è confessionale: infatti ha registrato l'adesione di organizzazioni di altre confessioni cristiane (come evangelici e pentecostali), ebraiche, islamiche, sikh. Formalmente non c'è nessun equivoco, quindi, nel non presentare integralmente una posizione cattolica.

I media laici finora hanno sostanzialmente ignorato l'iniziativa, evidentemente per non dare pubblicità (mentre ogni manifestazione dei sindacati o dei COBAS, anche di sigle secondarie, viene regolarmente annunciata). Ma questo era scontato. È invece paradossale la posizione di certi ambienti cattolici che, dopo aver giustamente criticato certe ambiguità, si augurano un fallimento dell'inziativa ed invitano a restare a casa. Posizioni che non si possono definire in altro modo che idiozie massimaliste e per alcuni sono probabilmente un modo per riverniciare di nobili ideali il proprio snobismo. D'altronde gli intellettuali che alzano il ditino comodamente seduti sul sofà nel proprio salotto non sono un'esclusiva dei radical chic. Don Giussani diceva:

Loro obiettano: “Ma la fede non guarda il potere... così se siamo perseguitati è meglio!” Come “Se siamo perseguitati è meglio?” È una frase da intellettuali! Perché nella persecuzione chi ci lascia le penne sono i più deboli, i più poveri! Nelle catacombe, se Dio ci manda, noi invocheremo lo Spirito, ma andarci senza cercare di difendersi, è cretino!

Sicuramente alcuni tra coloro che pensano all'“opzione delle catacombe” sono in buona fede. Ma questa scelta era a suo tempo già stata descritta e criticata da Augusto del Noce, per cui oggi si tenta di riverniciarla con un titolo più appetibile, come “opzione Benedetto” (cioè fare come Benedetto da Norcia e ritirarsi dal mondo per ricostruire a partire dai monasteri). Credo che basti questa osservazione del cardinal Ruini per smontare anche questa interpretazione:

Benedetto di Norcia si è ritirato dal mondo non perché disperasse di convertirlo, ma perché cercava soltanto Dio e riteneva di poterlo trovare nel modo migliore nella vita monastica. La sua è stata un’intuizione, o meglio, una vocazione estremamente feconda e determinante per la storia della nostra civiltà. Non si tratta di fare le “guerre culturali”, ma di esprimere la concezione cristiana dell’uomo, con le parole ma anche con la prassi di vita e con comportamenti concreti, tenendo sempre uniti la verità e l’amore al prossimo. Come non dobbiamo aggredire nessuno, così non dobbiamo assolutamente rinunciare a dire chiaramente la verità e a testimoniarla con la vita.